Titolo Originale: Ang Panday
Nazione: Filippine
Durata: 128 minuti
Regia: Rodel Nacianceno (vero nome di Coco Martin)
Anno: 2017
Cast: Coco Martin, Eddie Garcia, Elisse Joson, Jeric Raval, Jake Cuenca, Arjo Atayde, Julio Diaz, Carmi Martin, Awra Briguela, Gloria Romero

Trama:

Un uomo di nome Flavio e sua moglie stanno per avere un bambino ma, proprio durante il parto, un gruppo di demoni guidati dal cattivissimo Lizardo, attacca la coppia uccidendo prima la donna e successivamente anche Flavio, che però riesce a portare con sé Lizardo trafiggendolo con un leggendario pugnale forgiato con il metallo proveniente da un meteorite. Il bambino sfugge ai demoni grazie alla domestiche che ne diventerà la madre adottiva. Chiamato Flavio anche lui, cresce e diventa un tamarro che però presto dovrà affrontare ancora una volta Lizardo, tornato sulla terra più cattivo che mai.

Secondo me:

Generalmente i film con una durata superiore alle due ore li scarto a priori ma quando ti capita sotto mano uno dei più grossi blockbuster filippini dell’anno come fai a non guardarlo?
Ang Panday, che letteralmente significa “Il Fabbro“, è una specie di cinecomic dato che è tratto da un fumetto che deve essere molto popolare in patria visto che con questo dovrebbero essere 10 i film dedicati in qualche modo a questo personaggio, oltre a 4 serie tv delle quali una animata. Avendo però sentito parlare di questa roba solo dopo aver visto il film ed in preparazione alla scrittura di questo articolo, io non ne so una mazza di questa saga e quindi mi limiterò a dirvi che a quanto pare nella famiglia di fabbri saranno degli ottimi combattenti e c’avranno salvato dai demoni decine di volte, ma non sanno cosa sia la fantasia dato che tutti i maschi della famiglia si chiamano Flavio. Il protagonista del nostro film è infatti il nipote del leggendario Flavio I e figlio di Flavio II che a quanto pare aveva scelto una vita più tranquilla.
Il nostro Flavio III è interpretato da Coco Martin, uno degli attori filippini contemporanei più famosi, qui anche al suo debutto come regista ed è stato rilasciato durante l’ultimo Metro Manila Film Festival (MMFF) risultando il secondo per incassi e portando a casa 4 premi. Questo festival per me è una roba fighissima che mi piacerebbe fosse fonte di ispirazione anche per altri Paesi. Si tiene a cavallo tra Natale e gli inizia del nuovo anno, periodo di grande incassi anche per il cattolicissimo paese Asiatico, e per circa due settimane, nella maggior parte dei cinema del Paese vengono proiettati solo i film del MMFF che sono ovviamente tutti filippini. Se una roba del genere venisse proposta anche da noi nello stesso periodo dell’anno, ci ritroveremmo con una selezione di cinepanettoni da suicidio di massa, ma magari fare un due settimane di solo cinema italiano in un altro periodo potrebbe aiutare un po’ la nostra industria e dare visibilità a film che difficilmente arrivano in sala dato che magari i cinema dovrebbero riempire buchi. Bho, per me potrebbe essere un esperimento interessante.
Ma tornando a parlare di Ang Panday, vale la pena guardarlo? Il film non è malaccio ma non mi sentirei nemmeno di consigliarlo. La prima cosa con la quale dobbiamo scendere a compromessi sono gli effetti speciali non eccelsi (ed uno dei premi del MMFF era relativo a questi) ma personalmente questo aspetto non mi interessa.
Tolto quello e superato il prologo, abbiamo una prima parte di presentazione dei personaggi ben riuscita e piacevole. Abbiamo risse da strada, qualche truffa, un po’ di routine della grandissima famiglia adottiva di Flavio, qualche corteggiamento e il background della nuova incarnazione di Lizardo. Insomma il film sembra promettere bene almeno per i primi 40 minuti circa.
Poi però il ritmo del film inizia a calare verso la metà soprattutto a causa di una sottotrama sull’omosessualità di uno dei fratellini di Flavio che sembra buttata lì molto a cazzo. La cosa peggiore del film è però il viaggio di Flavio alla ricerca del leggendario pugnale del fabbro che lo porterà in un coloratissimo mondo fatato con delle specie di elfi e mini-hobbit.
Finito questo strazio, torneremo fortunatamente all’ambientazione urbana, dove presto dovremmo fare i conti con un cafonissimo video musicale sbattuto dentro al film. Se riuscite a sopravvivere queste torture verrete ripagati da un adrenalinico montaggio del nostro Flavio che massacra demoni e cattivi utilizzando il suo pugnale, la sua moto ed i suoi occhiali da sole che culmina in una meravigliosa scena in metropolitana degna del più tamarro dei film di Bollywood.
Successivamente arriverà un confronto tra Flavio e Lizardo che si conclude molto velocemente e che porterà il nostro eroe verso un’altra di quelle parti appiccicate lì con lo sputo, ovvero l’addestramento che avviene in una una fase nella quale il male sta ripetutamente attaccando la città, pertanto non ha molto senso che l’unico eroe capace di sconfiggerlo se ne vada per colline. Ma tant’è e quando Flavio torna più forte che mai abbiamo finalmente il vero e proprio scontro tra lui e Lizardo che è stavolta abbastanza appagante nonostante i ripetuti rallenty.

Ang Panday è sicuramente un film affascinante capace di farvi uscire un po’ dalla vostra confort zone ma restando comunque un prodotto godibile nonostante gli evidenti problemi di ritmo dovuti ad porzioni di trama accessorie ed inutili. Alla fine io mi sono divertito abbastanza, ma so di avere dei problemi.

Titolo Internazionale: Sick Sock Monster from Outer Space
Nazione: Italia
Durata: 82 minuti
Regia: Alberto Genovese
Anno: 2015
Cast: Marco Antonio Andolfi, Alessandro Bianchi (voce), Giovanni de Giorgi (voce), Alberto Pagnotta (voce), Paola Masciadri (voce)

Trama:

In una galassia lontana gli abitanti di alcuni pianeti sono costretti per sopravvivere ad utilizzare lampade abbronzanti e fare attività fisica per mantenere il calore corporeo a livelli ottimali. Per ricordare la scomparsa di un tale, il re Grigorio XXII decide di far installare delle speciali lampade abbronzanti in tutti i luoghi pubblici come scuole e uffici ed affida la consegna alla nave spaziale Dolcezza Extrema guidata dal Pixws, ex rocker, ed al suo singolare equipaggio.

Secondo me:

Io volevo fortemente amare questo film ed appena è uscito in versione Home video mi sono preso anche l’edizione limitata numerata con custodia calzino. Amavo l’idea di questo prodotto indie italiano i cui protagonisti sono pupazzi fatta eccezione per un solo attore in carne ed ossa ovvero Marco Antonio Andolfi celebre per La Croce dalle Sette Pietre il tutto in una Space Opera. Il fatto poi che la Troma abbia distribuito negli USA il film con il titolo Sick Sock Monster from Outer Space era per me un plus anche se effettivamente la compagnia di Lloyd Kaufman distribuisce un po’ tutto quello che gli capita in mano.
Amo tuttora il design così amabilmente raffazzonato della maggior parte dei personaggi ma tolto quello al film rimane ben poco in questo secondo film da regista di Alberto Genovese, che aveva già firmato L’Invasione degli Astronazi. La storia innanzitutto è un puttanaio e non si capisce una sega. Già i primi 5 minuti lasciano capire un po’ l’andazzo del film: muore in maniera incomprensibile questo Efisio che sarebbe un tipo muscoloso che non si capisce cosa faccia di preciso nella palestra. 10 anni dopo non si capisce bene cosa succede ma pare manifestarsi in qualche modo Efisio e quindi il re Grigorio decide di mettere delle lampade abbronzanti in giro per gli uffici della galassia. Chiaro vero? No? Bhé il film è più o meno tutto così: cose illogiche che succedono con motivazioni discutibili o assenti del tutto, magari con la scusa delle droghe e scene incollante in maniera poco omogenea come i momenti musicali buttati lì nel mucchio un po’ alla cazzo o le scene oniriche che sembrano durare ore. A tratti sembra di vedere un film di Lynch dei tempi d’oro scritto dopo aver scolato una bottiglia di Amaro del Capo, diretto dopo un’indigestione di funghi prataioli e montato durante un concerto dei Manowar.
Anche visivamente il film mi ha deluso ma non tanto per il digitale scadente sul quale sorvolo tranquillamente data la natura casalinga del prodotto, ma per la scelta della palette cromatica che è troppo scura e cupa. Avrebbe sicuramente beneficiato di una maggiore illuminazione negli interni e di colori più accesi, che nel film vengono relegati quasi esclusivamente ai trip del capitano Pixws.
I personaggi hanno del potenziale ma sono purtroppo a servizio di una storia davvero troppo confusa che non li gratifica. Il capitano Pixws ad un certo punto diventa solo un drogato e tra i comprimari vi è una ninfomane che bho, cerca cazzi, un dottore ormai inutile data l’assenza di malattie, un pesce che parla in maniera sconclusionata che dovrebbe essere un po’ la spalla comica del film ma che si perde per corridoi. Tutti dal design simpatico ma che spesso non si capisce che diavolo stiano facendo.
Vedere questo film è stata per me un’esperienza frustrante a causa del potenziale inespresso del prodotto che in fin dei conti si rivela incredibilmente noioso.
Ah, poi c’è anche un personaggio simile a Berlusconi buttato lì a cazzo pure lui.
Adesso Genovese sta lavorando ad un nuovo film da regista dal titolo Resurrection Corporation scritto da Mattia De Pascali, che sarà un film d’animazione definito come una dark horror comedy ispirata all’espressionismo tedesco di inizio ‘900. Anche in questo caso le premesse sembrano buone e speriamo che il film finito sia migliore di Dolcezza Extrema.

Un film dal fascino potenziale enorme che però si rivela un prodotto estremamente debole. Magari qualcuno lo amerà follemente ma non io. Se volete comunque l’edizione limitata è ancora disponibile a questo link

Titolo Originale: Arachnicide
Nazione: Italia
Durata: 91 minuti
Regia: Paolo Bertola
Anno: 2014
Cast: Gino Barzacchi, Gabriel Cash, Riccardo Serventi Longhi, Crisula Stafida, Filippo Galati, Enrico Pecora, Mark Dodson

Trama:

In dei laboratori segreti un gruppo di narcotrafficanti sta sperimentando la Solution 500, una tecnologia che permette di crescere piante di coca molto più velocemente e vigorosamente. Per mettere fine al progetto viene creata una squadra di agenti speciali formata da militari ed un’avvenente dottoressa, il Commando L9, che però si troverà ad affrontare una minaccia inattesa dato che la Solution 500 sembra non agire esclusivamente sulle piante.

 

Secondo me:

Quando ho voglia di guardarmi qualcosa di leggero spesso e volentieri mi faccio attirare esclusivamente dalla locandina e così è stato per questo film. Solo dopo averlo visto (operazione che ha richiesto parecchio tempo e diversi tentativi), mi sono reso conto di avere per le mani qualcosa di meraviglioso ma probabilmente solo per me dato che qualitativamente lascia parecchio a desiderare! Il film in questione è un prodotto preziosissimo e che definirei quantomeno coraggioso dato che si tratta di un monster movie italiano chiaramente indirizzato ad un pubblico internazionale e che alla fine è stato distribuito nientemeno che dalla Brain Damage Films, che è un po’ come la Troma per qualità e tipologia di film distribuiti ed acquistabile online anche per due spicci.
Il nome del regista non mi dice assolutamente nulla ma, nelle mie ricerche post visione, ho scoperto un microcosmo di personaggi molto interessante, anche in questo caso forse solo per me.
Andiamo con ordine. Il produttore di questo Arachnicide si chiama Ruben Maria Soriquez e, come ci dice la sua pagina di Wikipedia, e è un italo-filippino nato a Bologna ma che oggi vive a Manila e che qui in Italia ha iniziato la sua carriera nel mondo dell’intrattenimento dove ha girato principalmente documentari (anche uno sul Bunga Bunga), e recitato in produzioni sconosciute al sottoscritto. Bertola, regista di questo film, non ha una pagina di wikipedia ma stalkerando un po’ i suoi profili social e IMDB mi pare di aver capito che si occupa principalmente di effetti visivi ed ha parecchi titoli che lo vedono sulla poltrona di regista ma anche in questo caso tutte le sue produzioni mi risultano sconosciute e non mi stupirei se Arachnicide, che tra l’altro in origine doveva chiamarsi L9 Commando, fosse il suo primo titolo distribuito.
Al momento sta collaborando ancora con Soriquez per un horror di produzione Filippina chiamato The Lease che dal teaser sembra quasi interessante.

So benissimo che tutta questa pappardella sul background di questi due non interessa a nessuno, ma vi spiego brevemente perché interessa a me.
Dovete sapere che le Filippine sono state un Paese molto importante per un po’ tutto il cinema di serie B degli anni 70′-80′-90′ ed anche registi italiani come Antonio Margheriti o Bruno Mattei si recavano regolarmente da quelle parti per girare i loro film ed ovviamente anche le produzioni locali traevano ispirazione da quello che gli veniva insegnato dagli stranieri. Per non andare troppo fuori tema vi lascio giusto due documentari da cercare: Machete Maidens Unleashed e The Search for Weng Weng.
Quindi per me vedere una produzione italiana con ragni giganti e che ha qualcosa ha che fare con le Filippine è un sogno che purtroppo però si infrange con la realtà di un prodotto terribilmente noioso e che, vuoi per la povertà dei mezzi, o perché magari frutto di un riciclo di idee e di altri film, ci troviamo davanti è un semplice film con dei militari che si ritrovano a girovagare per una serie di corridoi infiniti infestati con una musichetta di tensione ripetitiva in loop interrotta da qualche frase via radio e battute machistiche il tutto girato con una qualità generale da filmino della comunione ed un doppiaggio raccapricciante.
La mia esperienza complessiva con il film ha avuto alti e bassi: la scena iniziale mi aveva quasi esaltato dato che era palese che quello che avevo davanti era un filmaccio fatto male e pertanto non vedevo l’ora di vedere i ragni giganti. Purtroppo però il mio primo tentativo di visione non ha superato i venti minuti. La seconda volta invece sono arrivato alla fase nella quale i militari fanno irruzione nella serra segreta dei narcotrafficanti. Interminabili minuti di camminata in corridoi scuri però mi hanno impedito di arrivare alla vera e propria comparsa dei ragni e purtroppo sono crollato dopo ad una cinquantina di minuti.
La mia terza visione la sto facendo mentre scrivo così posso prendermi brevi pause e spezzare un attimo il ritmo altrimenti non credo riuscirei mai a finire questa roba.
Comunque sia mi ha rivelato però che nella scorsa visione avevo abbandonato proprio ad un soffio dall’arrivo degli aracnidi e devo dire che il primo attacco mi ha anche divertito. I successivi però sono molto meno emozionanti e le animazioni dei ragni sono altalenanti dato che a volte si muovono con un framerate simile a quello di Goldeneye 007 per N64 giocato in 4 in split screen, mentre altre volte invece vanno abbastanza fluide. Ad un certo punto arriviamo ad una scena di massa con decine e decine di ragni che attaccano i nostri poveri militari che però non è altro che un interminabile tiro al bersaglio che metterà ancora a dura prova le vostre palpebre. Dopo qualche scena eroica ed una sana esplosione l’azione si sposta fuori dove però la musica non cambia se non per una scena di dialogo tra i soldati che si chiedono cosa stia succedendo. E niente, pian piano si fa giorno, qualcuno muore e qualcuno viene salvato da un elicottero.

Il film è brutto ma, ma davvero tanto brutto. Però a me vedere un film italiano sui ragni giganti mi emoziona e nonostante la mia terribile esperienza con questo film auguro al duo Soriquez-Bertola un grande successo come lo sta avendo Jimmy Henderson nella vicina Cambodia che con il suo Jailbreak ha avuto un grandissimo successo.
Italiani alla conquista del sud est asiatico insomma!

 

Titolo Originale: Deep Blue Sea 2
Nazione: USA
Durata: 94 minuti
Regia: Darin Scott
Anno: 2018
Cast: Danielle Savre, Michael Beach, Rob Mayes, Darron Meyer, Kim Syster, Jeremy Boado, Nathan Lynn, Lily Spangenberg

Trama:

Misty Calhoun è una ricercatrice a capo di un istituto che si occupa della conservazione degli squali. Viene avvicinata dall’avvocato di una compagnia farmaceutica che le offre un lavoro di consulenza per un progetto segreto con la promessa di un grosso finanziamento per la sua associazione. Nonostante non sia proprio entusiasta dell’offerta, la ragazza decide di andare a vedere di cosa si tratta ed, assieme ad altri due scienziati, viene portata in una struttura in mare all’interno della quale ci sono 5 squali toro utilizzati come cavie per un esperimento su un nuova integratore che punta ad aumentare l’intelligenza di chi lo assume. Il prodotto sembra funzionare molto bene, forse anche troppo…

Secondo me:

Tutti voi che mi leggete assiduamente sapete della mia dipendenza da film di squali e ieri sera, navigando su uno dei sitacci underground che frequento vedo la bruttissima locandina che vedete nell’articolo. Deep Blue Sea… Questo nome mi ricorda qualcosa. Googlo un attimo ed ecco la risposta: questo film si tratta sequel Blu Profondo, film celebre quasi esclusivamente per una delle morti migliori mai filmate che vede come protagonista Samuel L. Jackson ed uscito nell’ormai lontano 1999. Il film originale era una produzione dal budget notevole che non ebbe il successo sperato ma non fu nemmeno un completo disastro. La critica lo demolì abbastanza, ma per me non era malaccio data l’ambientazione suggestiva e la storia abbastanza interessante.
Questo secondo capitolo più che un sequel sembra quasi un remake del primo capitolo, al quale c’è solo qualche strizzatina d’occhio con un set molto simile (ma enormemente più povero) e qualche scena omaggio/plagio, pertanto può essere visto in maniera indipendente.
Purtroppo però non regge minimamente il confronto con il suo predecessore non solo per la povertà dei mezzi ma anche per una trama che ricalca quella di Blu Profondo privandola però del senso logico. Se nel primo capitolo venivano utilizzati delle cellule cerebrali particolari di squalo per trovare una cura per l’Alzheimer. In Deep Blue Sea 2 invece viene sperimentato un integratore che punta a sviluppare l’intelligenza che sembra non avere nessuna correlazione specie-specifica con gli squali dato che viene utilizzato anche da uno dei protagonisti, e pertanto sembrerebbe più sensato testare il prodotto in maniera più controllata con modelli ben più gestibili e magari anche più simili a noi, tipo i primati. Tra le altre scelte discutibili poi c’è un sistema di controllo degli squali con un telecomando che però non viene sfruttato quasi per niente e che quindi a me sembra una trovata brutta e inutile.
Ma il vero punto debole del film sono i personaggi ed in particolare il nero a capo della compagnia farmaceutica e soprattutto la bella e prosperosa dottoressa Misty Calhoun, arrogante e cagacazzo ad un livello indecoroso. A completare il cast abbiamo il muscoloso e fighissimo omaccione, l’avvocato della compagnia farmaceutica, un nerd e qualche vittima sacrificale di contorno. Sarà che ho una certa esperienza con il genere ma qui è stato davvero semplicissimo indovinare chi sopravvive alla furia degli squali ed anche capire più o meno il momento della morte dei vari personaggi. Ma per me la prevedibilità non è un problema nei film di squali, anzi è quasi un vantaggio visto che li vedo un po’ come il mio piccolo safe space, ma capisco per per qualcuno vedere un film così incredibilmente prevedibile potrebbe essere un problema. O magari potrebbe farvi credere di essere un veggente. Comunque sia quello che mi ha più indispettito del film è che i nostri 5 enormi squali toro in fin dei conti non fanno praticamente nulla ed invece i killer del film sono dei piccoli squaletti neonati che girano in claustrofobici corridoi semi-allagati nemmeno fossimo in Alien 3.
Essendo un film di squali però io devo difenderlo e quindi devo assolutamente elencarne anche qualche pregio come la scena nella quale la odiosissima dottoressa Misty Calhoun si cambia (niente Tette ma un completino intimo di tutto rispetto) o la morte che dovrebbe omaggiare quella di Samuel L. Jackson che, seppur no allo stesso livello, è comunque un bel vedere. Ancora i pescatori di frodo che muoiono all’inizio sono personaggi simpatici e la trovata del telecomando che comanda gli squali è…. una puttanata degna di un film della Asylum (nello specifico Empire of the Sharks, che sarebbe Waterwold ma con gli squali radiocomandati).

Fosse un film normale direi che questo è un brutto sequel non richiesto arrivato con almeno una quindicina d’anni di ritardo. Ma visto che è un film di squali non posso che elogiarne la pregevole operazione nostalgia che arriva a pochi mesi dall’uscita del nuovo blockbuster THE MEG, anche chiamato Jason Statham Vs. Megalodon, al quale auguro un enorme successo dato che, qualora questo film incassasse dignitosamente, avremmo sicuramente vagonate di film di squali tutti uguali tra loro! Non vedo l’ora!

Titolo Originale: Tantsy nasmert’, Танцы насмерть
Nazione: Russia
Durata: 97 minuti
Regia: Andrej Volgin
Anno: 2017
Cast: Deni Alasaniya, Lukerya Ilyashenko, Nikita Dyuvbanov, Deni Alasaniya, Karina Ivanova, Viktor Khorkin, Lada Negrul, Denis Shvedov, Aleksandr Tyutin

Trama:

In un mondo post apocalittico e radioattivo è rimasta in piedi una sola città che però è costantemente minacciata da cataclismi. Per placare la furia della Terra viene  periodicamente organizzato un torneo nel quale gli sconfitti vengono dati in sacrificio al pianeta. Kostya, un ragazzo che viene costretto a prendere partecipare, ed Anya, partecipante volontaria e figlia di un alto funzionario cittadino, decidono di indagare sui veri motivi dietro al torneo.

Secondo me:

Io non l’ho mai visto ma sono estremamente felice che sia stato fatto Hunger Games perché dalla sua uscita sono arrivati un sacco di film con ambientazione distopica ed un qualche survival game nel mezzo. Qualche mese fa mi capitò di vederne uno particolarmente bizzarro chiamato “Mafia – The Survival Game” nel quale i partecipanti si sfidavano a Mafia o Lupus in Fabula. Mai avrei pensato di trovarne uno con una meccanica più assurda ed invece eccoci qua. Ancora dalla Russia arriva questo nuovo film che è stato distribuito in UK con il titolo che vedete sopra ma il cui titolo internazionale è “Dance to Death” e dove i partecipanti si sfidano in una specie di versione multiplayer di Just Dance con tanto di neon colorati ed un coreografico ed accattivante dj in un tripudio di musica ignorantissima.
Diciamo subito che nonostante la genialata poi il film è abbastanza brutto e noiso con personaggi stereotipati ed una trama estremamente prevedibile.
Ma qualche piccolo punto di forza c’è. Ad esempio a me, che l’ho guardato senza avere la minima idea di cosa fosse, all’arrivo del primo balletto sono rimasto con una faccia a metà tra lo stupore e la perplessità. Ma comunque divertito dall’assurdità di quello che stavo vedendo! Forse per l’incapacità dello sceneggiatore (tale Andrei Zolotaryov) o perché magari pianificato come primo capitolo di una saga, i primi minuti sono completamente forvianti e lasciano pensare ad un qualche tipo di ribellione o comunque storie riguardanti i poveri lasciati ai margini che devono fuggire da chissà quale minaccia governativa. Ed invece quella trama viene quasi del tutto abbandonata dato che l’azione si sposta quasi esclusivamente negli alloggi dei ballerini. Qui però iniziano anche i problemi del film che vede delle interazioni tra i personaggi estremamente banali e delle fughe rocambolesche ben poco credibili. La trama prende una piega troppo lineare ed i colpi di scena non esistono. Inoltre il numero complessivo di balletti è basso pertanto nemmeno gli appassionati di Step Up avranno un motivo per vedere questo film.

Questa volta è andata abbastanza male con i survival game, ma ormai mi aspetto di tutto dal genere. A quando Deadly Briscola?

Titolo Originale: Tenemos 18 años
Nazione: Spagna
Durata: 73 minuti
Regia: Jesús Franco
Anno: 1959
Cast: Isana Medel, Terele Pávez, Antonio Ozores, María Luisa Ponte, Luis Peña, Licia Calderón, Aníbal Vela, Rufino Inglés

Trama:

María e Pili sono due cugine diciottenni che conducono una vita piuttosto ordinaria e monotona. Per combattere la noia, María inizia a scrivere un racconto che le vede protagoniste di un viaggio in macchina per il Paese su in improbabile mezzo vendutagli dal cugino Mariano, personaggio che nella realtà si trova sempre a corto di soldi e che nel racconto diventa una perfetta sanguisuga. Ben presto anche Pili aiuterà la cugina nella stesura del racconto e, anche con l’aiuto dell’alcol, le cose diventeranno decisamente più avventurose!

Secondo me:

Da qualche settimana sto frequentando un corso di spagnolo ed ovviamente come attività integrativa sto guardando tonnellate di film spagnoli e sud americani. Il cinema contemporaneo in tale lingua però non mi appassiona molto e quindi ho deciso di scrivere un articolo su uno dei più prolifici e geniali registi che abbia mai vissuto su questa terra: Jesús Franco.
Del lui avevamo già parlato in un vecchio articolo di 5 o 6 anni fa che mi vergogno anche a linkare per quanto male è scritto, quindi ricominciamo da capo con un brevissimo turpiloquio che conterrà solo qualche nozione di base che spero integriate con Wikipedia, interviste su youtube, documentari e magari qualche libro perché c’è davvero troppo da dire su questo personaggio ed io ho un certo timore reverenziale quando scrivo di gente così importante.
Iniziamo dicendo che il buon Jesús Franco ha girato all’incirca 200 film cambiando spesso genere ma viene ricordato principalmente per i suoi horror erotici psichedelici come Vampyros Lesbos, Delirium, Sexo Canibal (o Il Cacciatore di Uomini o Devil Hunter, che è uno dei più famosi), Oasis of the Zombies (e/o e La Tumba de Los Muertos Vivientes che in realtà sono due versioni dello stesso film) e tanti, tantissimi altri che meriterebbero un articolo a parte. Un po’ come il carissimo Joe d’Amato, anche la qualità media dei film di Jesús Franco lasciava abbastanza a desiderare, ma per qualche strano motivo finiscono essere come le patatine ovvero uno tira l’altro.
Non è stato però solo attivo nel cosiddetto cinema di serie B dato che ha lavorato anche in produzioni enormi come Falstaff di Orson Wells con il quale tra l’altro ha anche lavorato ad altri progetti incompiuti come L’Isola del Tesoro e montato l’incompiuto Don Chisciotte che verrà rilasciato nel 1992.
Essendo però specializzato in film dalle tinte erotiche è impossibile non parlare delle donne di Jesús Franco come la bellissima Soledad Miaranda, morta ad appena 27 anni in un incidente automobilistico, Lina Romay divenuta poi sua moglie, Alice Arno, Monica Swinn ed in un’occasione ha anche spogliato Romina Power. Non solo grandi donne al suo fianco ma anche attori leggendari come Christopher Lee con il quale gira un Dracula definito dall’attore migliore di quelli della Hammer e Klaus Kinski con il quale instaura una collaborazione molto prolifica.
Interessante è anche la storia dei mille pseudonimi con il quale il regista firmava i suoi film. Inizialmente fu un produttore francese a chiedere al regista di cambiare il suo nome per rendere il film più vendibile all’estero, dato che Jesús rimandava a Gesù e Franco al dittatore spagnolo. Il regista decise quindi di firmarsi come Jess Franco, successivamente poi un distributore tedesco gli chiese di aggiungere altri nomi perché, data la sua enorme produzione, aveva in catalogo troppi film firmati da lui. Jesús, abile musicista ed amante del jazz, quindi decise di omaggiare alcuni dei suoi musicisti preferiti prendendo i loro nomi creando quindi un ideale quintetto. Successivamente però poi gli furono affibbiati altri nomi a sua insaputa per un totale di circa 30 pseudonimi.

Dopo la presentazione del regista spagnolo parliamo un po’ di questa sua primissima opera. Tenemos 18 años, seppur lontano dalle atmosfere che hanno reso celebre il regista, ha in comunque con i suoi film quell’anarchia che lo rende difficile da inquadrare in un genere preciso. Se l’atmosfera generale del film è piuttosto leggera, la seconda parte diventa decisamente più cupa trasformando il film in un piccolo horror misterioso estremamente semplice ma efficace per poi virare nuovamente sul thriller con una vena romantica d’altri tempi. Un film che, nonostante sia di 60 anni fa, resta godibilissimo e presenta anche diverse piccole idee geniali, come ad esempio il far interpretare personaggi diversi agli stessi attori nella realtà e nella finzione. Inoltre alla fine degli anni ’50 Thelma & Louise erano ancora molto lontane e non era certo comune vedere un film on the road con due donne protagoniste.
Questo film non è certamente quello che ci si aspetterebbe da Jesús Franco, ma resta comunque un buon esordio che ha il merito di aver dato il via ad una carriera incredibile e che l’ha reso il principale protagonista della Sexplotation europea, e la cui opera ha contribuito consolidare un’industria globale piena di immaginazione capace di regalare al pubblico un vero e proprio spettacolo.

Grazie Maestro!

Titolo Originale: Jailbreak
Nazione: Cambogia
Durata: 92 minuti
Regia: Jimmy Henderson
Anno: 2017
Cast: Celine Tran, Jean-Paul Ly, Savin Phillip, Dara Our, Tharoth Sam, Sisowath Siriwudd, Rous Mony

Trama:

Playboy è un membro di spicco del clan malavitoso Butterfly gang che, una volta arrestato, decide di collaborare con la giustizia e necessita quindi protezione per il trasferimento in prigione. La scorta sarà composta da tre poliziotti locali affiancati dall’ispettore Ly, membro del corpo speciale francese GIGN ed in visita istituzionale nel Paese. Il tragitto fino alla prigione filerà più o meno liscio ma, una volta arrivati nella struttura, i nostri protagonisti si troveranno in mezzo ad un vero e proprio inferno dal quale dovranno cercare di uscire a suon di pugni, possibilmente proteggendo anche Playboy!

Secondo me:

Quest anno mi ero quasi deciso ad andare al Far East Film Festival di Udine, ma poi alla fine un po’ perché sono povero, un po’ perché sono stronzo ho deciso di non andare. Per prepararmi all’evento stavo recuperando qualche film asiatico tenuto in archivio e mentre guardavo questo Jailbreak non ho fatto altro che ripetermi quanto sarebbe perfetto per il festival. E non devo essere stato il solo a pensarlo dato che ho poi scoperto essere stato presente nel 2017.
Mettiamo subito in chiaro una cosa: questo film è una bomba e mi ha emozionato come non succedeva da parecchio. Era forse da The Raid che non mi capitava di divertirmi così tanto con un film di mazzate, anche se le sensazioni provate con i due film sono state senz’altro diverse data la natura più scanzonata di questo Jailbreak che si contrappone alla cupezza generale di The Raid. Forse questo film rientra più nelle mie corde anche grazie al fatto che sono riuscito ad entrare in sintonia con il tono generale del film che mi ha permesso di glissare sulle inevitabili troiate estreme che i prodotti di questo genere hanno. Mi spiego meglio: in Jailbreak uno dei protagonisti viene accoltellato ad una spalla ma che poche scene dopo torna a picchiare come un fabbro. Quando i protagonisti di film come The Raid subiscono ferite simili e tornano a combattere come se niente fosse storco un po’ il naso, ma visto che in un film come Jailbreak uno dei protagonisti cerca un bagno decente per tutto il film, sono più propenso ad accettare qualche licenza poetica.
Per quel che riguarda le mazzate sappiate che sono tantissime, ben coreografate ed, anche se gli scontri alla lunga tendono ad essere ripetitivi data la scarsa varietà di ambienti e combattenti, restano comunque interessanti grazie alla chiarezza con le quale vengono ripresi ed a piccole ma talvolta geniali inquadrature proposte da buon Jimmy Henderson, come ad esempio la soggettiva di un poveraccio che prende parte agli scontri.
Jimmy Henderson che in realtà all’anagrafe si chiama Daniele ed è un milanese emigrato prima in UK e successivamente in Cambogia dove ha girato il primo zombie movie del Paese, ha fatto parlare di se a causa di una scena di nudo in un suo precedente film e adesso sta riscuotendo un grosso successo internazionale proprio grazie a Jailbreak. Inoltre in questi giorni ha iniziato le riprese del suo quarto lungometraggio intitolato “The Prey” che dovrebbe essere un altro action.
Oltre all’azione di altissimo livello il film ci delizia anche con del sano e divertente sessismo bilanciato però da personaggi femminili con grossi attributi, ed anche un po’ di gnaga visto che la Butterfly gang è composta da sole donne attraenti (o quasi…) ed il capo della banda è interpretato da una ex pornostar locale.

Un film che mi ha stupito per la qualità dell’azione e per la freschezza che mi ha trasmesso. Se The Prey sarà ad Udine il prossimo anno sarà per me obbligatorio esserci.

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